
L’arte ai tempi del coronavirus
Daniela Bussolino stigmatizza alcuni aspetti dell’emergenza sanitaria che in questi mesi ci ha costretti a rivedere tutte le dinamiche del vivere.
Al centro pone una gigantografia del virus visto al microscopio, con quelle minacciose corone che si estroflettono dal nucleo centrale.
Poi ci sono elementi importanti che ruotano intorno e che esemplificano le conseguenze dell’emergenza.
La mascherina sulla faccia è un dispositivo medico sanitario, ma anche museruola per le opinioni dissidenti, contrapposte a un’araldica che manifesta il potere, la verità imposta.
Non a caso, le persone sono messe in basso, libere sulla destra e dietro le sbarre sulla sinistra, sotto la mascherina. Come se il pericolo sia più per le libertà che per la salute.
La parte sinistra dell’opera è buia, quella destra presenta una luce che ricorda un tramonto: la notte e il giorno, anche se quest’ultimo sembra alle ultime ore.
È come se la Bussolino vedesse l’emergenza sanitaria e il crollo dell’economia del Paese come la notte, le tenebre che avvolgono il cammino di ciascuno, mentre in fondo, all’orizzonte, ci sarebbe la luce.
Eppure, il rischio è che la nostra società sia giunta al tramonto.
In effetti, questa emergenza ha sviscerato molta cattiveria, risvegliando delatori e scene che pensavamo archiviate nei libri di storia, con persone trasformate in spie, pronte a puntare il dito contro i propri fratelli, evidentemente sicuri di un livello morale superiore.
Un’opera che si discosta dai temi classici della Bussolino, ma che declina la sua angoscia e tutte le emozioni esacerbate nell’animo in questi mesi.
Un’espressione che strizza l’occhio al disegno, persino al fumetto, come se la Bussolino volesse farne copertina per un costrutto più ampio ed esaustivo.
Non c’è quasi traccia del bianco, elemento che dimostra un inusuale pessimismo dell’artista, solitamente aperta al futuro e alla speranza, qui radicata soltanto nella mascherina e nelle persone chiuse in casa, costrette a non lavorare, che ella pone dietro le sbarre, rosse come il sangue.
Ultima nota, le sbarre formano nove riquadri. Per alcune culture del passato, il nove è il numero della speranza, il numero di Dio.
Quindi, la Bussolino auspica un intervento superiore che possa ristabilire l’equilibrio, rasserenare gli animi degli esagitati, riportando la normalità delle cose.
Infine, la parte destra più luminosa potrebbe aprirsi a un’alba; allora, in quel caso, vi sarebbe anche una speranza legata alla rinascita. Dell’arte, del Paese, dell’umanità intera.